” Gli ormai noti indignados sono un gruppo eterogeneo che raccoglie i protagonisti delle varie manifestazioni del maggio 2011 esprimenti il dissenso nei confronti della politica, della finanza e del capitalismo dei paesi occidentali; il nome nasce dal movimento spagnolo, che prende avvio dal titolo dello scrittore francese militante Stéphane Hessel, autore nel 2010 del best-seller Indignez-vous!, e nel 2011 di Engagez-vous!, e che ha molti siti web portavoci: il principale è democraciarealya.es, ma altri condividono o ospitano i link, come soltv.tv, 15october.net, takethesquare.net, attac.org. Vi sono varie versioni e traduzioni nelle principali lingue europee (una delle pagine italiane è italianrevolution.org), gruppi su Facebook o fan su Twitter ad altre “redes sociales”. Usano tutti i mezzi efficaci e gratuiti che i nostri tempi ci offrono: film e libri diffusi tramite link di download, allacci ai principali social network, news media e motori di ricerca, oltre al passaparola, alla condivisione in rete di file per la stampa di manifesti, striscioni, magliette, gadgets.

Il movimento spagnolo nasceva con un motto, “Democrazia reale ora: non siamo marionette nelle mani di politici e banchieri”: ora il suo incipit è divenuto eponimo, se così si può dire, della sua principale piattaforma web.

La definizione di indignados finisce oggi per raccogliere, soprattutto nell’uso mediatico, tutti i manifestanti che in Irlanda, Grecia, Spagna, Italia, Inghilterra, Stati Uniti, Medio Oriente hanno protestato dal 2010 in poi contro il sistema economico occidentale. In particolare le prime prove di dissenso hanno coinciso con le crisi nazionali, in Europa ad esempio, prima in Irlanda, poi in Grecia, in Spagna, fino a diffondersi in Italia, Inghilterra, Stati Uniti. Il metodo interattivo e le ispirazioni sono condizionati anche dalla cosiddetta Primavera Araba, che in Egitto, Tunisia e Libia ha causato la deposizione di governi decennali al limite della dittatura, e che in Medio Oriente e in altre nazioni africane ha innescato scontri di piazza e proteste analoghe.

In particolare, gli indignados non sono solo offesi, com’è nel significato letterale del loro nome, ma stanchi della situazione critica in cui versano le nazioni di provenienza, oppresse da deficit nazionali e sovranazionali inaffrontabili, disoccupazione giovanile, crisi economica, inadeguatezza della classe politica. Alcuni sono gli stessi del Movimiento 15-M, cioè del 15 maggio 2011, giorno delle elezioni amministrative in Spagna e del Movimiento 15-O, ovvero del 15 ottobre, date in cui in varie città europee (Barcellona, Madrid, Roma, Londra, tra le altre) ed extraeuropee (New York, Hong Kong, Tokyo, Sidney, ad esempio) si sono organizzate manifestazioni nate come pacifiche, ma poi macchiate da scontri violenti che hanno causato feriti e danni soprattutto a Barcellona, Roma e Atene.

Non tutti coloro che vanno nelle strade addossandosi l’epiteto di indignados rivendicano il 15-O o il 15-M. Alcuni diffondono in piazza e nei media semplicemente il proprio atteggiamento critico verso il contemporaneo stile di vita occidentale, non più etico, né ecologico o sostenibile; questo è l’atteggiamento di coloro che sono dietro al sito biocambio.es, per esempio.

Vi sono stati disordini a Barcellona e Madrid, anche se vi sono foto e video che ritraggono i manifestanti sorridenti accanto ai poliziotti, le tende dedicate alla distribuzione del cibo e all’organizzazione delle pulizie, i cartelli che invitano ad andare “a bere al bar” e non in piazza. Ma è la civiltà dei colleghi inglesi a sorprendermi di più.

Mi è capitato di assistere a fine ottobre alle manifestazioni pacifiche, razionali e costruttive dei protesters londinesi che sono accampati di fronte alla Saint Paul Cathedral dal 15 maggio scorso, giorno in cui la protesta si attuava in modo coordinato in altre città europee e come noto a Roma si infiltrava una minoranza violenta tra i giovani armati di buoni propositi, che distruggeva vetrine, incendiava auto, e provocava risse e incidenti cancellando come sempre le buone intenzioni della maggioranza pacifica.

Mentre il Primo Ministro inglese David Cameron ha criticato la protesta londinese, sottolineandone l’inutilità, dichiarandola “non costruttiva” e ironicamente asserendo che “le manifestazioni dovrebbero essere fatte su due piedi, non stazionando in una tenda”, il Business Secretary Vince Cable ha “simpatizzato” con i manifestanti, condiviso il loro sentimento generale di ingiustizia, riconoscendo che i più deboli sono stati colpiti dalla crisi mentre una piccola percentuale di persone invece “ne è uscita molto bene”. Così ha fatto il leader del Labour Party Ed Miliband i primi di novembre, dichiarando in un’intervista alla BBC che le proteste di fronte a Saint Paul sono segnale di un forte malessere che non può essere lasciato sui gradini della chiesa, e che tra i manifestanti ci sono “molti arrabbiati, non solo accampati”. Ancora, alcuni membri della Chiesa d’Inghilterra hanno comunicato la propria condivisione arrivando alle dimissioni. Hanno espresso vicinanza con le posizioni dei manifestanti il Reverendo della Cattedrale, Giles Fraser, dimissionario in ottobre, che ha salutato positivamente le proteste, ha affermato che è il dovere della Chiesa opporsi “ai costi umani dell’ingiustizia finanziaria” e il Decano della Cattedrale di Saint Paul Greame Knowles, portavoce del colloquio con il movimento anti-capitalista, dimissionario anche lui.

I ragazzi di Saint Paul si uniscono sotto il nome di Occupy London Stock Exchange (OccupyLSX), un collettivo che si organizza tramite social network e decide di replicare l’esperienza di Puerta del Sol e dei manifestanti americani di Occupy Wall Street; respinti da Paternoster Square, sede dello Stock Exchange, dove i bobbies hanno transennato l’area privata, si accampano nel piazzale della Cattedrale, suolo pubblico, istallando cucine da campo, bagni chimici, centri di assemblea, un centro per i rapporti con i media. Alcuni legal observer hanno distribuito indicazioni legali su “cosa fare se si viene arrestati”. Non si può dire che non ci siano stati disordini, e che i ragazzi non siano controllati a vista dalla polizia, ma l’atmosfera che si respira quando passiamo tra le tende è di assoluta sicurezza. L’organizzazione è massima: in una tenda centrale si possono leggere le norme sulla distribuzione del cibo e l’uso di alcol, oltre ai turni di pulizia, ogni piccolo gruppo discute come diffondere le proprie idee, in ogni angolo istallazioni e manifesti attirano l’attenzione, puri esempi di impegno creativo. Una giornalista registra il suo stand-up davanti all’accampamento.

Ogni pomeriggio, a quanto pare, un comitato si unisce in assemblea. Quello che ascoltiamo è composto da una decina di rappresentanti dei vari gruppi attivisti, di diverse nazionalità, seduto in cerchio sul sagrato della Cattedrale e circondato da curiosi come noi, ma anche da membri dell’ultim’ora, a cui è concessa la parola senza problemi. Discutono un documento ufficiale di richieste da diffondere sui media, richieste che mettano d’accordo tutti, di come fare se si viene respinti dalla polizia, di come disperdersi o reagire in caso di emergenza. Alcuni nuovi membri intervengono, viene chiesto loro nome, provenienza e trascorsi, vengono accettate le proposte utili anche se provengono da sconosciuti; ogni punto del documento viene discusso, poi votato con un’alzata e una vibrazione delle mani, che significa pieno accordo, oppure un incrocio di braccia, che manifesta disaccordo. Se ci sono interventi polemici che non riguardano i punti del documento, la ragazza che coordina l’incontro li zittisce con fermezza. Non c’è spazio per perditempo violenti. Il tutto permette che l’assemblea si svolga quasi sottovoce, in una delle piazze più brulicanti d’Europa.

Ad un certo punto tutti ci sporgiamo in avanti, stiamo in silenzio e allunghiamo le orecchie: un bambino, non più di sei-sette anni, fa la sua proposta. Andrà nei negozi e distribuirà un volantino con messaggi di pace e comportamento etico. Il suo educato, dolce impegno è davvero accolto da un caloroso (e silenzioso) applauso.

Il 17 novembre è scaduto l’ultimatum lanciato dalla Corporation della City di Londra per fa smantellare pacificamente l’accampamento, e i “protesters” hanno salutato l’orario limite, le 18.00 inglesi, con un minuto di applauso silenzioso. Venerdì 18 novembre una nuova azione di forza è stata intrapresa: l’occupazione di un palazzo vuoto della UPS, nota banca svizzera, nella City, non lontano dalla Cattedrale di Saint Paul, sostenendo che sia giusto riprendersi un locale inutilizzato, quando le banche sfrattano milioni di cittadini per morosità. Dalle finestre del palazzo pendono striscioni con l’intestazione “Bank of Ideas”, banca di idee. Dalla loro, i portavoce della banca svizzera promettono azioni legali, e l’occupazione arriva due giorni dopo l’intimazione di della City of London Corporation di sgombrare il suolo pubblico, e che ha confermato che ricorrerà all’Alta Corte il 23 novembre prossimo. Il motivo è l’occupazione del suolo pubblico per una protesta che “in due settimane di trattative non ha portato da nessuna parte”, per i rischi per la sicurezza, a causa della “confusione” della gente “che beve fino a tarda notte” e ad altri comportamenti in generale definiti “tendenze preoccupanti”. Si può leggere la decisione della votazione del suo Comitato della City of London Corporation nella rassegna stampa del 15 novembre, nel sito cityoflondon.gov.uk.

In Spagna, al 21 novembre, gli indignados continuano a stazionare nella Puerta del Sol di Madrid, avendo proposto “il voto nullo utile” per protestare contro il sistema politico spagnolo, e in particolare il governo Zapatero, deludente rispetto le aspettative di 7 anni fa. Le elezioni si sono concluse con la vittoria del PP di Mariano Rajoy, ma gli indignados in realtà non si rispecchiano nei grandi partiti; con il loro voto frammentato hanno di fatto facilitato l’ascesa della destra. C’è da immaginare che avranno presto altri motivi per scendere in piazza.

Gli indignati italiani stanno a guardare, per ora, le riforme del nuovo governo Monti, e si spera che apprendano dai loro colleghi britannici ad essere civili e costruttivi. ”

 

(sara bonfili, pubblicato sulla rivista “exursus” del 2011)