Quando era ragazzina suonavo il sax soprano. Lo suonerei ancora, se avessi una stanza insonorizzata, tempo a disposizione per studiarlo meglio di quanto ho fatto, non troppi bambini che mi girano intorno….:-) 

Sarà per il prossimo ottimistico futuro.

Ciò non toglie che ogni volta che riconosco questo strano timbro nella musica contemporanea, affino le orecchie con ammirazione. Anche perché spesso chi suona il soprano suona il tenore o il clarinetto basso, tutti in Si♭, ma soprattutto il sax baritono, strumento questo, che mi è sempre sembrato un transatlantico, per il timbro e la stazza.

Il sax soprano è misconosciuto e sottovalutato, utilizzato solo per ritornelli nella musica pop degli anni Ottanta, limitato alla fusion e progressive music di un trentennio fa … E’ molto difficile trovare una buona intonazione, le ance leggere durano poco e vanno cambiate spesso. E’ visto come un sax da donna, perché più leggero, e invece i più grandi virtuosi del soprano sono uomini.

Il suo timbro orientaleggiante è grado immediatamente di evocare atmosfere di mondi vari, di aprire quindi numerose porte.

Ecco quindi che i fa piacere presentare un disco della ECM : sax-vibrafono-chitarra-batteria.

Words Unspoken” è certamente una mescolanza strana ed evocativa. In questo caso mi fa pensare a viaggi nei mari del nord, cosa che anche la copertina suggerisce.
Il sassofonista inglese John Surman, a lungo residente ad Oslo, è noto per la sua varietà di proposte, il suo interesse per la musica folk nordica e britannica, di cui tornano i costrutti melodici. Ma anche per il suo jazz modale.
Qui è accompagnato dal vibrafonista americano Rob Waring, la chitarra di Rob Luft e dal batterista norvegese Thomas Strønen.

Words Unspoken, la title track, ha l’aspetto di una improvvisazione del sax baritono sul tappeto sonoro creato dagli altri tre strumentisti, forse l’unico brano in cui emerge il protagonismo del sax. Per tutto il resto del disco si crea un dialogo molto cinematografico e serrato.
“Molto spesso le impressioni e le storie possono essere varie, e in qualche modo sembrano avere un senso per le persone interessate. Questo è un lato del titolo Words Unspoken” scrive l’autore nelle note di copertina “ma l’altro si riferisce al modo in cui volevo che affrontassimo la musica come gruppo. Ho semplicemente portato alcune idee ai musicisti e, senza discutere chi avrebbe suonato cosa e come avrebbero preso forma le melodie, avremmo provato a mettere insieme gli elementi semplicemente ascoltandoci a vicenda e reagendo di conseguenza.”

Il pezzo di apertura invece prende spunti dalle melodie scozzesi delle cornamuse con il vibrafono eil sax sopranno avvicendarsi tra la ritmica. È in Precipice che il tono orientaleggiante di cui parlavo prima emerge, grazie alle piccole escursioni melodiche del sax soprano.
Tra gli altri brani che non si differenziano molto tra loro come intenzione – il vostro viaggio sarà a volte straniante come in Belay That o in Bitter Aloe, a volte movimentato e un po’ prog come in Onich Ceilich – il disco scivola via mentre guardate fuori dalla finestra, e vi pare di intravedere le Higllands o i fiordi, tra i vostri tetti di città sormontati da antenne.
Hawksmoor è il brano che conclude in stile più contemporaneo questo album iniziato con l’omaggio al folk, e inizia con una danza ritmata dalla batteria del clarinetto basso, strumento per la verità più classico che jazz, e si trasforma con le sincopi di vibrafono e chitarra, che aggiungono un gusto jazz progressive.
Di questo sassofonista quasi ottantenne non c’è da dire altro, se non ricordare la sua longeva e varia schiera di collaborazioni, con alcuni nomi che fanno tremare le gambe: con Ronnie Scott, in duo con Jack DeJohnette o Howard Moody, con ensamble come i London Brass, con l’Anouar Brahem’s Thimar trio con Dave Holland e i Brewster’s Rooster (John Abercrombie, Drew Gress e Jack DeJohnette.)
Ha collaborato con i progetti condotti da altri grandi leader come Paul Bley, Miroslav Vitous, Tomasz Stanko, Misha Alperin and Mick Goodrick.


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