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Il fantasma in bicicletta: Enrico Brizzi alla rincorsa di Guareschi

Amato e odiato, era ora che qualcuno si ricordasse di lui mettendolo in narrativa.
Lode a Enrico Brizzi, lucido scrittore conterraneo, scevro dalle ideologie e amante della Storia, per aver ricordato Giovannini Guareschi, uno dei tre autori italiani più tradotti al mondo. E poi dimenticato, escluso dalle antologie e dai testi di critica.
Il fantasma in bicicletta di Enrico Brizzi è, come altri, un libro nato dalla quarantena della pandemia: dal non poter uscire, dal non poter incontrare, dal non poter viaggiare. «E allora», racconta Brizzi, «mi sono concentrato su quello che avevo in libreria». E allora una vecchia conoscenza della sua giovinezza, un caposaldo della letteratura emiliana, torna a essere oggetto di ricerca.
Da una parte il ritorno ai personaggi di una commedia dell’arte moderna che, con i film prodotti da Rizzoli che ebbero un grande successo europeo, resero Guareschi ricco, famoso e invidiato dagli scrittori coevi.
Don Camillo e Peppone, che Brizzi definisce «due maschere fondative della società del dopoguerra» hanno accompagnato in realtà una certa generazione, certamente quella di Brizzi, e anche la mia. Dubito che oggi i giovani sappiano chi sono, ma molti erano legati al cinema di una certa epoca, o è capitato di rivederli in replica quando ancora la tv aveva una programmazione estiva di film classici italiani. Don Camillo e Peppone erano per Guareschi due estremi dell’ideologia, due facce della stessa medaglia, ma anche dei “tipi umani” del Dopoguerra, periodo in cui tutti avevano voglia di pace. I loro dispetti continui non finivano mai nel sangue, piuttosto nel grottesco, e così le storie di Guareschi avevano sempre una morale, importante e condivisibile, impersonata dal Cristo parlante di Brescello, dove sono ambientati i film tratti dai suoi racconti.

Dall’altra la rievocazione dello scrittore, polemista, disegnatore, giornalista Guareschi, attraverso il racconto del figlio Albertino e le proprie ricerche. «Un gran testone» secondo Brizzi, che per non essere allineato ha dato fastidio ai fascisti, lui che non era certo comunista, ai democristiani essendo vicino ai democristiani, monarchico in un mondo repubblicano. Un osso duro, dopo aver vissuto l’esperienza del lager, dopo esser finito in galera per oltre un anno per diffamazione della figura di De Gasperi, dopo la pubblicazione sul suo giornale di alcune lettere compromettenti poi giudicate false.

E poi le ipotesi sulle grandi panzane di Guareschi: del suo viaggio sui pedali da Milano alla Romagna e ritorno riportato per il Corriere della Sera con il titolo de Il giretto in bicicletta (1941) dice di aver fatto i passi Dolomitici, lui che era tutt’altro che atletico. Brizzi sostiene che il viaggio si sia concluso diversamente. Lo definisce ormai un uomo a lui così vicino «da volergli bene come a un parente», e gli perdona anche questo.

Come già fatto da Paolo Rumiz e compagni, ma come è nella natura di Brizzi da qualche decennio, il reportage è quello di un viaggio (a piedi, in bicicletta) sulle tracce di una vicenda storica, un itinerario, un personaggio o una tradizione, come già successo in Nessuno lo saprà (2005) in cui ripercorre la Tirreno-Adriatica, in Il pellegrino dalle braccia d’inchiostro (2007) lungo la Via Francigena, fino a L’estate del Gigante (2020) a piedi sul Monte Bianco e Buone notizie dal vecchio mondo (2020) in bici lungo il Danubio. Nel frattempo ci sono stati: il cammino di Santiago, Gerusalemme, l’Alpe della luna, l’Alta via del Sale in Liguria, tra ricordi giovanili e nuove esperienze.

Brizzi raccontava in un’intervista di aver intrapreso il primo di questi viaggi a piedi in seguito alla nascita del primo figlio, scioccato dal nuovo ruolo che gli si proponeva, quasi a “digerire” meglio la questione. Ricordo anche che lo stesso Gianni Celati sosteneva negli scritti giovanili che il vagabondaggio fosse indispensabile per scrivere.
Evidentemente è così, una sorta di equilibrio tra la vita attiva e quella intellettuale, che di fatto rende Brizzi uno scrittore prolifico, costantemente ispirato, sempre fedele a se stesso e alla sua ricca e forbita prosa.

Sara Bonfili

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