Se n’è andato il 13 dicembre 2015 un grande fotoreporter italiano, Mario Dondero.
Era nato nel 1928 a Milano, di origini genovesi. Fu un giovane partigiano in val d’Ossola, e fece il militare a Falconara, nelle Marche; fu poi un giornalista e fotografo. Frequentava quel caffè intellettuale che era il Bar Jamaica in via Brera a Milano, dove si incontravano Camilla Cederna, Luciano Bianciardi, Ugo Mulas, Carlo Bavagnoli, Uliano Lucas, Alfa Castaldi, Gianni Berengo Gardin. La sua fu una fotografia d’impegno civile che prendeva Robert Capa come modello principale. Trasferito a Parigi per quasi quarant’anni, collaborò con l’Espresso, Epoca, Le Monde, e Le Nouvel Observateur. Infine invecchiò serenamente nelle nostre Marche, a Fermo, che aveva scelto con la moglie come buen retiro, circondato da tanti amici, come Angelo Ferracuti, Massimo Raffaeli, Tullio Pericoli, per citarne alcuni.
Famosissima la foto del 1959 dei fondatori del “Nouveau Roman”, con Alain Robbe-Grillet, Claude Simon, Claude Mauriac, Samuel Beckett e altri. Vogliamo fare un elenco per ricordare i suoi “volti”? Pablo Picasso, Man Ray, Francis Bacon, Alberto Giacometti, Giorgio De Chirico, Giuseppe Ungaretti, Maria Callas, Yves Montand, Léo Ferré, Serge Reggiani, Georges Brassens, Barbara, Serge Gainsbourg, Juliette Greco, Francis Lemarque, Orson Welles, Federico Fellini, Michelangelo Antonioni, Luchino Visconti, Pier Paolo Pasolini, Laura Betti, Paolo Volponi, Alberto Moravia, Daniel Pennac, Paolo Conte e Francesco De Gregori…
Simona Guerra gli ha dedicato un libro, Mario Dondero (Milano, Bruno Mondadori, 2011); Emanuele Giordana con Dondero come co-autore, ha scritto recentemente Lo scatto umano: viaggio nel fotogiornalismo da Budapest a New York (Roma, Laterza, 2014); l’accademia di Brera ha voluto conferirgli la laurea honoris causa.
Fotografò l’Africa, il Marocco, l’Algeria, la Guinea, l’America Latina, Cuba, l’URSS, il Canada, l’Afghanistan. Tornò in Russia, recentemente, con il giornalista Astrit Dakli. Da questo viaggio era nata una mostra, “Istantanee dalla Russia di Putin”, istallata dal 4 ottobre al 2 novembre 2014 nelle salette Giacconi del Teatro Valle di Chiaravalle, presentata in teatro dagli autori, con Massimo Raffaeli e Angelo Ferracuti, e curata dal circolo fotografico Avis.
Lì lo avevamo incontrato, l’11 ottobre del 2014, per un’intervista. E ci spiegò l’origine della propria passione: “Trovo che il motore fondamentale di questo mestiere, il ‘relatore fotografico’ con quella che potrebbe essere una nuova espressione, sia l’immaginazione, cioè la capacità di costruire dei racconti. In questa arte del racconto, in cui ho avuto il piacere di cimentarmi, ho avuto un momento favorevole negli anni sessanta, nel ’65 per la televisione dei ragazzi facevo dei film con 150 foto per raccontare una storia scritta da me, narrate dagli attori Cucciola e Satta Flores. Il fatto di allineare le foto per raccontare una storia mi ha insegnato questo, cioè l’utilizzare le foto che integrano tutte un aspetto del racconto. Proprio come abbiamo fatto per questa mostra sulla Russia”.
Ci ha raccontato delle sue foto più famose, quelle di Parigi, quelle dei reportage. Ma finì per scherzare su una foto di cui era molto fiero, che fece il giro del mondo, quella del toro guinness dei primati, campione della razza chianina. “Per cui mi considero un grande fotografo bovino!”, diceva. A noi che chiedevamo ragguagli sul suo gusto estetico, rispose: “Quando vengo accusato di non amare l’estetica, rispondo che io ritengo che le foto debbano essere perfette sul piano formale, ma l’estetica non deve spegnere la forza del discorso”.
Innumerevoli le mostre a lui dedicate. Le foto però non nascevano per le mostre, ma per essere pubblicate nei giornali, diceva spesso. L’ultima di queste mostre è stata una meravigliosa retrospettiva alle Grandi Aule delle Terme di Diocleziano a Roma, dal 19 dicembre 2014 al 26 aprile 2015: 150 foto in bianco e nero che egli definiva il “colore della verità”, più fotografie a colori, per la maggior parte inedite, di attori, personaggi, o tratte da reportage di guerra o viaggi. Una mostra divisa in quattro sezioni tematiche, promossa dalla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma e la casa editrice Electa, e curata da Nunzio Giustozzi e Laura Strappa. In questa mostra era proiettato anche il documentario del giovane regista fermano Marco Cruciani, “Calma e gesso. In viaggio con Mario Dondero”, che ha finanziato con il crowdfunding, per poter raccontare un mito che aveva seguito in viaggio e preso a modello.
Il 16 dicembre si terrà il funerale laico nella sala dei Ritratti del palazzo comunale di Fermo.
Tanti saranno gli amici che vorranno accompagnarlo così nel suo ultimo viaggio.
Sara Bonfili
(Articolo scritto il 13 dicembre 2015 corriere adriatico)