Sostiene Umberto De Mattia che l’archetipo del suo Pinguino sia nato fortunosamente da un errore.

Mentre al tornio cercava di completare la bottiglia,  una, due, tre volte. Si attorcigliava sempre su se stessa, proprio a completamento del collo, sostiene De Mattia.

Non capiva quale fosse lo sbaglio. Aveva proprio accompagnato la sua bottiglia in tutte le fasi, sostiene De Mattia. Poi più la guardava, quella bottiglia ancora fresca, più la rendeva imperfetta. Un bel giorno, sostiene De Mattia, mancava solo il becco ed era proprio diventata un pinguino.

I lettori perdonino questo omaggio all’incipit di “Sostiene Pereira” di Tabucchi, ma il racconto incantato di Umberto De Mattia, artista di Napoli residente a Pisa, mi ha fatto sorgere un riferimento romanzesco.

Proprio così, quello che si ha quando l’esperienza reale si ammanta di “mito”, raccoglie elementi “magici” e diventa per sempre l’archetipo di qualcos’altro. Così, da un errore è nato il cavallo di battaglia di Umberto De Mattia, artista dagli anni Ottanta, che ho conosciuto grazie alla mia esperienza lavorativa in Val di Fassa.  L’archetipo di Umberto è un pinguino in ceramica che poi ha assunto infinite dimensioni, varianti, finiture, laccature, colori, brillantezze, ma mantenendo sempre la sua origine nell’errore. E in quanto frutto dell’imponderabile, unico, irripetibile.

Incontriamo Umberto De Mattia.

 

Umberto De Mattia

Umberto De Mattia

Umberto, quando hai inziato a credere in questo tuo personaggio, che poi si chiama “Pinguino UDM”?

 

“Chi lo vedeva confermava la mia idea, e diceva che era bello e unico. Io ero solo agli inizi della mia sperimentazione con la ceramica, verso il 2007. Quando ho sentito che anche gli altri avevano la mia stessa impressione, ho cominciato a credere davvero nei miei pinguini, ho capito che non convincevano solo me. Oggi mi fanno divertire e sperimentare tante tecniche, sia nel tornio, sia nella cottura e nella decorazione.”

Quali sono le tappe della tua carriera?

“Alle scuole medie ho frequentato un progetto scolastico che non si è più ripetuto, dove oltre alle attività scolastiche normali, si svolgevano attività di fotografia, pittura, modellazione giornalismo e teatro…”

…E’ stata quindi un’esperienza umana oltre che formativa.

“Sì, la zona di Napoli dove io vivevo non era delle più tranquille, per cui le buone famiglie tenevano i propri figli lontano dalle tentazioni. Per me frequentare la scuola dalle otto la mattina alle sei di sera era un modo per crescere bene, ed è stato proprio in quegli anni ’70 che cominciai ad approcciarmi alla creatività.

Sono stato a lungo pittore, poi mi sono convertito alla ceramica, poiché cercavo la tridimensionalità, mi incuriosiva la tecnica e le sue tante sfaccettature. Ma io sono anche un militare di carriera, quindi vengo da un mondo del tutto diverso! Con la ceramica mi diverto.”

Come ti aggiorni?

“Sono autodidatta ma nel 2010 ho frequentato i corsi serali di scultura nell’Istituto Statale d’Arte Franco Russoli di Pisa.  Caratterialmente molto pignolo e preciso: prima di approfondire la modellazione dell’argilla e la ceramica ho studiato molto le varie tecniche di esecuzione dei miei artisti preferiti.
Ad esempio Phil Rogers, inglese con la passione dell’oriente e del Giappone. Poi Lisa Hammond, artista inglese di Greenwich. Proprio lì ho avuto il piacere di incontrarla, e attraverso i suoi video ho saputo decorare alcune mie opere con la cottura antica nel forno a legna.”

Coem personalizzi le tecniche?

“Mi piace portare le tecniche al limite. Ad esempio, il forno arriva a 1000 gradi centigradi? Voglio vedere cosa succede agli smalti a 1200. Voglio provare l’irripetibile, andare fuori dagli standard. I manufatti cambiano forma e colore, si accartocciano, prendono altre sembianze. Sembrano legno, alabastro, ma sono… ceramica! In più, realizzo anche sculture in cemento, ferro, bronzo.”

In molti prendono spunto dai giapponesi.

“Sì, la ceramica per loro è un’arte antica che si rispecchia nella vita quotidiana. Si prende il the con quelle tazze, si mangia in quelle stoviglie… Per me è stato molto d’ispirazione l’artista giapponese Hsinchuen Lin: attraverso i suoi video ho imparato davvero l’arte del tornio.”

La tua tecnica preferita?

“Il raku, che prende spunto dai 4 elementi della vita: terra, acqua, fuoco, aria. Risale al 1500, in Giappone, anche se oggi è un po’ snaturata, nel senso che spesso gli artisti aggiungono colori e forme non appropriati per questa tecnica storica.”

Cos’ è il raku per te?

“Il raku è una filosofia vera a propria. Significa godimento, soddisfazione, gioia, liberazione; sentimenti che l’artista raku ha in sé prima, durante e dopo l’operazione di estrazione dell’oggetto. Si capisce, quindi, che c’è molto altro dietro a un’opera di artigianato nata con queste caratteristiche. E’ una sorta si stile di vita.”

Ringraziamo Umberto De Mattia e segnaliamo i suoi contatti Istagram e Youtube.

 

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